La mansio di Glesia

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Il templare Gualtiero, in profonda crisi spirituale sul significato della sua missione in Terra Santa e sull’eventualità di proseguirla, vorrebbe consegnare le armi e dedicarsi all’ascetismo.

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Descrizione

Siamo nella seconda metà del XII secolo. Il templare Gualtiero, in profonda crisi spirituale sul significato della sua missione in Terra Santa e sull’eventualità di proseguirla, vorrebbe consegnare le armi e dedicarsi all’ascetismo. Il suo superiore allora, conoscendo il valore del cavaliere e intuendone il tormento interiore, gli propone un periodo di riflessione destinandolo, con l’incarico di Praeceptor, all’organizzazione della mansio di Glesia. Lasciate quindi le terre infuocate d’Outremer, il templare raggiunge la mansio dove trascorre un’esistenza quieta fino a quando, nei pressi della grangia di proprietà dell’Ordine, è trovato un corpo privo di vita.

Francesco Rodolfo Russo è conferenziere, organizzatore e animatore culturale. Ha collaborato con diverse case editrici e, per una decina d’anni, ha diretto la collana di narrativa per la scuola «L’Agrifoglio». Scrive su periodici e settimanali e alcune sue opere letterarie sono riportate su giornali e antologie, adattate per recital e rappresentate sulla scena.
È autore di manuali scolastici, libri di poesia e narrativa.
Tra le sue numerose opere: Alle Vostre Eminenze (1980), Prima di Sìloe (1990), Secondo Noi… (1992), Ombra Passeggera – Il lupo, Pinocchio e Gaalad (1997), Margherita è anche un fiore (2002),  Prima di entrare eri già qui (2006), L’ospite imprevisto (2007) e il romanzo collettivo Il colpevole è Maigret (2008), Il nome del padre (2009).

Informazioni aggiuntive

Peso 0.5 kg
Dimensioni 15 × 21 × 1.4 cm
Autore

Francesco Rodolfo Russo

ISBN

9788888849033

Pagine

160

Formato

15 x 21

Anno

2004

Rassegna stampa

Loffarelli Giancarlo
1 recensioni
A un primo approccio il lettore che trova utile e magari rassicurante accostarsi a un nuovo romanzo, sapendo in che “ambiente” si troverà, avrà l’impressione che quello che si sta apprestando a leggere sia un romanzo che poggia con sicurezza su due terreni della letteratura: il romanzo d’ambientazione storica e il poliziesco. In effetti, Russo conduce il lettore, con un ritmo scandito da datazioni molto precise, in continua alternanza, all’interno di due epoche: l’una recente (fra il 2010 e il 2011), l’altra remota (fra il 1480 e il 1492). Ben presto, poi, la sparizione di tre persone e la comparsa di un ispettore e di un commissario di polizia contribuiscono a disporre la vicenda di ambientazione recente (ma il lettore un po’ più scaltro collocherà anche quella di ambientazione remota) all’interno dell’ampio alveo della letteratura poliziesca. Certo, in questo tentativo di leggere il romanzo accompagnati dalla rassicurante sensazione di ri-conoscerne l’orizzonte, si intuisce che qualcosa non quadra da uno strano dualismo, evidente nell’alternanza di epoche ma anche delle dislocazioni geografiche: Otranto e altri territori del Meridione da una parte, Cuneo e la terra di confine fra Italia e Francia che si colloca tra Torino e Menton dall’altra. Il fatto che l’ipotetico lettore preferisca muoversi su territori letterari conosciuti non vuol certamente dire che non intenda essere incuriosito e spinto ad andare avanti nella lettura. E il romanzo di Russo riesce anche in questo intento, inducendo il lettore a porsi continuamente domande e dubbi: chi è quel monaco guerriero d’origine spagnola, chiamato Monje che lascia Otranto cinta d’assedio nel 1480 per approdare nel Cuneese ponendosi al servizio di un discutibile signorotto locale? E che c’entra il Monje con un gruppetto di appassionati di esoterismo nella Cuneo del 2010? E che tipo è l’ispettore di Pubblica sicurezza Francesco Martinez, in servizio a Cuneo ma originario di Lecce, con un cognome di evidente origine spagnola, cui vengono affidate le indagini per la scomparsa di tre persone che ruotano attorno al gruppo di appassionati d’esoterismo? Ma se ci si lascia condurre da Russo lungo un percorso più profondo del precedente, il romanzo allarga smisuratamente il proprio orizzonte. Per seguire l’autore in questo itinerario bisogna essere attenti a una serie di segni che egli lascia cadere con tale evidenza da risultare poco visibili, proprio come accade con le cose che abbiamo troppo vicine. Due tipologie di questa serie di segni appaiono particolarmente interessanti. La prima è costituita dai nomi dei personaggi che, in questo romanzo, come in tutta l’opera di Francesco Rodolfo Russo, non sono mai scelti casualmente: dall’evidente rimando alla dimensione del gioco nel nome di una delle persone scomparse, Ludovica, all’orso forte e furioso nascosto nel nome dell’altra persona scomparsa, Furio Berardo; dalla grazia che promana dal nome Anna, all’ambiente marino del nome Marina, e così via per un’altra decina di casi. Non è qui possibile (e forse nemmeno opportuno) avventurarsi in un’analitica disanima ermeneutica della onomastica del romanzo, ma se il lettore non si mostra disattento a questi segni, Indizi di esistenza si apre a prospettive inaspettate. Più esaminabile è invece la seconda tipologia di segni che Russo ha collocato proprio in esergo ai tempi in cui il romanzo è strutturato. Le tre parti, infatti, in cui il romanzo è diviso sono introdotte da altrettante citazioni. La prima è di Proust: “Le prime apparizioni che fa nella nostra esistenza un essere destinato a incontrare più tardi il nostro favore assumono retrospettivamente ai nostri occhi un valore di avvertimento, di presagio.” La seconda di Schopenhauer: “La vita è come una stoffa ricamata della quale ciascuno nella propria metà dell’esistenza può osservare il diritto, nella seconda invece il rovescio: quest’ultimo non è così bello, ma più istruttivo, perché ci fa vedere l’intreccio dei fili.” La terza, infine, è di Drieu La Rochelle: “Io sono vivo soltanto quando avverto l’eternità.” Se le citazioni non costituiscono banalmente uno sfoggio di cultura (e nel caso di Russo questo è fuor di dubbio), esse vanno a costituire un indice di fondamentale importanza per entrare nelle dimensioni più intime e profonde del romanzo. Che cosa ci dice Proust? Che tutta la vita è una rete di segni che continuamente interpretiamo, permettendo che essi gettino una luce non soltanto sul presente che viviamo o sul futuro, ma anche sul passato, costituendo, rispettivamente, segnali, premonizioni e, appunto, presagi. Attenzione, in quanto segno, la relazione non contiene in se stessa, oggettivamente, il presagio: tale esso può esser colto (o no); e l’esser presagio non sta nelle cose ma nell’atteggiamento ermeneutico costitutivo dell’uomo. Se non si tiene presente questo aspetto, sfuggirà la duplice ambientazione temporale del romanzo. E che cosa ci dice Schopenhauer? Che la maturità dell’uomo è fatta per mutare lo sguardo sulle cose: non più per ammirane la bellezza (preferiremmo dire: non soltanto per ammirarne la bellezza), ma per comprendere la fitta, inestricabile, forse incomprensibile, trama che costituisce l’esistenza. Quindi anche la vicenda narrata nel romanzo va vista, per così dire, dalla parte delle radici. E se dalla parte del recto, è la logica che guida le interpretazioni (le indagini) che segue la Polizia, la parte del verso si apre a dimensioni interpretative in cui la logica riveste un ruolo molto marginale: il commissario Nuccio è fedele interprete della prima prospettiva, l’ispettore Martinez (di nome Francesco e salentino come l’Autore), pur partendo dalla stessa impostazione, si mostra via via sempre più aperto alla seconda. Infine Drieu La Rochelle. Con la frase di Drieu La Rochelle scendiamo alla dimensione più profonda del romanzo: una lieve meditazione sulla morte e sull’eternità in cui il segno di interpunzione più frequentato da Francesco Rodolfo Russo è il punto interrogativo, di cui sono ricche soprattutto le ultime pagine. È un romanzo “maturo” quest’ultima fatica di Francesco Rodolfo Russo. Maturo nel duplice significato: scritto dopo un lungo percorso artistico che ha permesso all’Autore di crescere da un punto di vista letterario arricchendo la propria sensibilità di scrittore; e prodotto da un uomo maturo che, per dirla nuovamente con Schopenhauer, riesce oggi a vedere meglio la trama della vita perché da una prospettiva rovesciata.
 
Giancarlo Loffarelli http://www.leccecronaca.it/index.php/2012/08/28/il-nuovo-romanzo-maturo-di-francesco-rodolfo-russo-di-giancarlo-loffarelli/

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