Descrizione
Quando all’età di 18 anni intrapresi la carriera professionistica facendo della musica e della vocalità il mio… unico mestiere, non avrei creduto di sentire, un giorno, l’esigenza di “immortalare” sulla carta un metodo di tecnica vocale. Effettivamente, 30 anni fa, credevo poco nella reale necessità di approfondire, attraverso lo studio, l’universo della musica cantata. Come tutti gli adolescenti, pensavo che cantare fosse esclusivamente un dono naturale controllato solamente dall’istinto e dalla creatività personale. Le prime «smentite» alla mia convinzione arrivarono molto presto, precisamente, quando cominciai a incidere i primi dischi registrando su supporto magnetico la mia voce dinnanzi a un microfono professionale che assumeva le sembianze di un “mostro” sconosciuto e… terrorizzante. Ricordo perfettamente che dovetti superare innumerevoli difficoltà per controllare un’impostazione approssimativa “corredata” di difetti che non pensavo assolutamente di possedere. Nello studio di registrazione, dall’altra parte del vetro si alternavano persone di grande esperienza come Totò Savio, Giancarlo Bigazzi, Claudio Cavallaro, Vince Tempera, gente che aveva già scritto pagine storiche della musica leggera italiana in qualità di autori, produttori e arrangiatori: un grande vantaggio. I loro consigli e le loro annotazioni sono il bagaglio più prezioso dell’«archivio musicale» memorizzato nelle mie «cartelle» mentali. A quell’età era piuttosto naturale che magnificassi i miei successi artistici facendo sfoggio della mia “bravura” e della mia estensione vocale, spesso esagerando e usando impropriamente il mezzo laringeo che consente di cantare. Per almeno un decennio, nonostante avessi già arricchito il mio sapere di incalcolabili informazioni tecniche, utilizzate anche per guidare e aiutare altri artisti da me prodotti, la mia posizione nei confronti della vocalità si limitava ad analizzarne e sviscerarne gli aspetti interiori, espressivi e comunicativi, curandomi poco delle problematiche di carattere puramente fisico e anatomico. Verso la fine degli anni Ottanta una cordite acuta (patologia delle corde vocali molto diffusa), mi costrinse a saltare numerosi concerti e impegni professionali. Nell’impossibilità di cantare mi interessai scrupolosamente di tutto ciò che in precedenza avevo trascurato. Così, come da buon musicista “coccolavo” le mie chitarre accordandole, tarandole e registrandole, capii che altrettanta cura era indispensabile per il proprio, insostituibile, strumento di lavoro: la voce. Iniziai a “immergermi” nei trattati di logopedìa e foniatrìa, confrontandomi con l’esperienza di insegnanti di canto tradizionali e avvicinandomi alle nuove tecniche vocali d’oltreoceano. Mi appassionai notevolmente allo studio e all’esercitazione, comprendendo tutti gli errori e le incongruenze dell’uso scorretto della voce. Sufficientemente “dotto” e preparato sotto il profilo medico, mi resi conto, però, che molto spesso la “pura” e corretta “impostazione vocale” non era coniugabile con il gusto e l’espressività dettata dai canoni delle tendenze musicali più moderne (pop, rock, blues, soul, etc.). Infatti, fino a quel tempo, non ero riuscito a identificare una “didattica sul canto” diversa da quella tradizionale, cosiddetta “lirica” o “classica”. Era evidente che c’erano delle lacune da colmare, prima fra tutte la necessità di integrare una buona impostazione logopedica con gli effetti e i virtuosismi richiesti dai nuovi generi musicali in voga nel mondo. Solo nel Nord America prendevano forma dottrine alternative e consuetudini innovative; alcuni fondamenti dell’educazione canora erano dissacrati e giustamente modificati e corretti a beneficio delle nuove correnti musicali. In Italia, la situazione didattica era alquanto “ferma” e legata alla grande tradizione del bel canto operistico, rispettabile e indiscutibile patrimonio nazionale, ma molto lontano dalle necessità richieste dalla discografia internazionale. In quel periodo cominciai la mia sperimentazione a vantaggio e no di “cavie” umane disposte per prime a sottoporsi volontariamente e “incautamente” ai miei primi, maldestri, insegnamenti. Mi accorgevo di avere un mondo intero di nozioni e “note” da trasferire. Intanto scrivevo ed elaboravo esercitazioni seguendo una metodologia acquisita in modo personale, tenendo conto delle esigenze e degli ostacoli tecnici da superare. Esercizi a due, a tre voci, armonizzati, giochi ritmici e melodie sempre più complesse. Negli anni Novanta, accettai di lavorare, come docente, nell’Accademia «La Ribalta» di Castellammare di Stabia, una struttura per ragazzi, affiancato dai corsi di Teatro e di Danza. I risultati dei miei “laboratori” erano sorprendenti. I ragazzi apprendevano con facilità, divertendosi, migliorando l’impostazione, l’intonazione e l’estensione in pochi mesi di lavoro e, soprattutto, comprendevano l’importanza di esprimersi attraverso le loro corde vocali utilizzando il mio metodo di lavoro, che li obbligava a non dimenticare mai di usare un accessorio fondamentale: il cuore. Proprio così, cantare con… quello strumento non visibile né anatomicamente “riconosciuto” che io definisco, omaggiando il grande commediografo Eduardo De Filippo, la… voce di dentro. Per anni ho proseguito, con grande soddisfazione, a “costruire” talenti, instaurando un filo diretto con la loro coscienza creativa, lavorando con dedizione e curando i dettagli. La mia scuola con sede centrale a Napoli, dal 1998, continua a essere un punto di riferimento per i giovani appassionati del canto e io cresco con loro, affinando la mia ricerca e la mia esperienza. La stesura di questo metodo è dedicata proprio ai miei allievi, sempre più numerosi ed entusiasti. Nei loro occhi riesco sempre a leggere i sogni, che sono gli stessi custoditi gelosamente da tutti i ragazzi che amano cantare ed è una grande emozione poter dare un contributo alla loro realizzazione futura. Gianfranco Caliendo.
Gianfranco Caliendo inizia la sua formazione musicale sotto la guida dello zio Edoardo, storico chitarrista di Roberto Murolo e cultore della tradizione partenopea. Negli anni Settanta, con Gianni Averardi, Andrea Arcella e Luciano Liguori, dà vita a Il Giardino dei Semplici. I quattro musicisti, in breve tempo, dal mitico locale Shaker Club di via Partenope scalano la Hit Parade nazionale, scrivendo una pagina importante nella storia della musica pop italiana. Nel 1975 il Gruppo incide, con la CBS-Sugar, M’innamorai, canzone scritta da Totò Savio e Giancarlo Bigazzi. Seguono altri successi, tra cui Tu ca’ nun chiagne (disco d’oro), l’evergreen Miele, proposta al Festival di Sanremo nel 1977, e Concerto in La minore, di cui Caliendo è anche autore e compositore, presentata al Festivalbar nel 1978. In circa 30 anni di carriera, Il Giardino dei Semplici vende oltre quattro milioni di dischi, realizza tournée in Italia e all’estero e si esibisce in concerti gremiti di pubblico. Dall’inizio degli anni Ottanta Caliendo alterna all’attività d’interprete e autore quella di produttore, arrangiatore e insegnante di canto. Studioso delle tecniche vocali e dei problemi derivanti dall’uso scorretto della voce, Gianfranco Caliendo si occupa di didattiche innovative, tra cui quella di Seth Riggs, e accetta nel 1992 di dirigere il settore musicale dell’Accademia «La Ribalta» di Castellammare di Stabia. Nel 1998 apre a Napoli la «Scuola di Canto Moderno», che diviene rapidamente una delle mete più ambite dei giovani talenti della Campania e dell’Italia del Sud. Nel 2001 è presente come autore al Festival di Sanremo con Turuturu. La canzone, cantata dalla figlia Giada in coppia con Francesco Boccia, si posiziona al terzo posto della kermesse canora, diventando nei mesi successivi un “tormentone” radiofonico in Italia. Scala anche le vette delle Hit sudamericane con le versioni Tengo un turuturu (spagnolo) e Quando voce passa (portoghese); il disco vende oltre un milione di copie. Prima di scrivere Voci di dentro, Gianfranco Caliendo firma numerosi articoli per la rivista «Cantanapoli», dedicata ai grandi interpreti, autori e compositori della canzone napoletana classica.
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