Descrizione
La narrazione del proprio dolore, della propria malattia, forse non aiuta altri con un dolore simile (ma non uguale) al tuo, con una malattia simile (ma non uguale) alla tua. Ma aiuta sicuramente te. Certo, può essere testimonianza per quelli che non hanno vissuto quello che tu hai vissuto. Certo, può essere compartecipazione con quelli che hanno avuto ciò che tu hai avuto. È comunque affermazione di umanità. È segno lasciato lì, a modo che chi se ne vuole servire, interpretandolo, lo possa fare. È espressione strutturata di un grido: «Io sono ancora vivo, io voglio vivere ancora!». Luciana potrebbe dire che il cancro le ha rubato dieci anni di vita: dai cinquanta ai sessanta. Ma così non è. Il cancro è parte della vita. Tutte le esperienze fanno crescere. Le esperienze insegnano solo a chi riflette su di esse, le ripensa e le usa per il suo futuro. Bisogna fermarsi un poco e ripensarle criticamente. Fermarsi un poco, ecco. Luciana ha preferito sostare e pensare e…. ha senso per tutti noi ascoltare ciò che ha pensato, leggendo le pagine in cui ha fermato razionalizzandole quelle sue emozioni.
Luciana Coèn, infermiera, si occupa della formazione di operatori sociosanitari. Collabora con la rivista on line Laborcare journal (www.laborcare. it) e con Toscana Ebraica. Ha pubblicato: Una stanza vuota e altre stanze (2015), Quel che non sai. Figlia e madre insieme nella sofferenza psichica (2014), Mani sul mio corpo. Diario di una malata di cancro, (2008). Le raccolte di poesie: Quando apparecchi l’amore nei miei occhi (2014), Nel tempo dell’attesa. Incontro poetico di fine vita (2012), Fragmenta (1983), Nell’utero della tua sofferenza(2009).
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